Nella tradizione latina e italiana
si annoverano numerosi intellettuali che hanno trattato la questione della
morte. Di seguito è riportato un breve e parziale excursus dell’utilizzo della
parola “morte” nella nostra tradizione letteraria.
L’oratore Cicerone fu uno dei primi
a parlare nel mondo latino della morte come evento di passaggio ad una
esistenza migliore per chi ha compiuto nobili atti in vita. Il “De re publica”,
per esempio, si chiude con un dialogo, il “Somnium Scipionis”, nel quale
Scipione l’Africano compare in sogno a Scipione l’Emiliano e dopo avergli
rivelato la bellezza e l’armonia delle sfere celesti, gli mostra la via Lattea,
luogo di beatitudine riservato a coloro che hanno operato per il bene della
patria.
In seguito, ritroviamo nel “De
rerum Natura” di Lucrezio ritroviamo una visione del tutto razionale . parla
della comune paura della morte degli uomini facendo riferimento alla teoria
della mortalità dell’“animus”. L’atto della morte viene identificato con il
momento nel quale l’uomo perde ogni tipo di capacità percettiva, concetto che
Lucrezio apprende dalla filosofia epicurea e che arricchisce attraverso la sua
opera. La morte è, quindi, ciò che disgrega il corpo e dopo la quale la materia
abbandona definitivamente il suo essere nella vita precedente.
La Morte viene citata spesso anche
da Virgilio in varie opere e, seppure ispirandosi a Lucrezio, egli vive questo
tema con forte coinvolgimento emotivo. Nelle “Bucoliche”, più precisamente
nella X ecloga si narra della poesia come antidoto della morte; nelle
“Georgiche” Virgilio parla della moria degli animali durante la peste di Norico
e dell’infelice storia di Orfeo ed Euridice, in cui “eros” e morte sono
strettamente connessi. Nell’ “Eneide” la morte è motivo di commozione in
particolare in due differenti episodi: la morte di Anchise e il suicidio di
Didone. Per Virgilio la morte è un ineluttabile evento deciso dal Fato che
provoca inevitabilmente dolore. Ovidio nelle “Metamorfosi” tratta del tema del
mutamento che molto spesso avviene proprio a causa della morte. Essa, dunque,
non è motivo di sofferenza, ma opportunità di cambiamento. Nel libro III la
bella Eco è punita da Giunone con la perdita della voce. Ella si innamora di
Narciso, il quale, a causa dell’impossibilità di Eco di comunicare, respinge la
giovane. Eco così muore consumata dal suo stesso amore fino a ridursi in una
voce senza corpo. Lo stesso Narciso si innamora della sua immagine riflessa in
una fonte e incapace di allontanarsi dalla sorgente muore e il suo corpo si
trasforma in un fiore.
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