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venerdì 10 aprile 2020

STEP #08 Il "Fedone" di Platone: la morte come liberazione dell'anima.

"La Morte di Socrate" di Jacques-Louis David

Nel “Fedone” o “Sull’anima” di Platone è il dialogo che parla degli ultimi istanti della vita di Socrate. Prima di morire il filosofo greco confessa ai suoi amici di non essere spaventato dall’arrivo della morte. Quest’opera è principalmente ricollegata al tema dell’immortalità dell’anima, la quale viene avvalorata con tre prove: la prova dei contrari, la prova della reminiscenza, la prova della partecipazione. Con la prima prova si afferma che se dalla vita viene la morte, da quest’ultima deve necessariamente derivare la vita sottoforma della sopravvivenza dell’anima alla morte. Con la seconda prova si ha come ipotesi che la conoscenza umana sia reminiscenza di verità già conosciute, dunque l’anima deve avere vissuto precedentemente. Con l’ultima prova l’anima è definita vita e come tale non può contenere in sè l’idea della morte.
“Tutti coloro che praticano la filosofia in modo retto rischiano che passi inosservato agli altri che la loro autentica occupazione non è altra se non quella di morire e di essere morti. E se questo è vero, sarebbe veramente assurdo per tutta la vita non curarsi d’altro che della morte, addolorarsi di ciò che da tanto tempo si desiderava e di cui ci si dava tanta cura”.

[…]
“E riteniamo che sia altro che non una separazione dell’anima dal corpo? E che essere morto non sia altro che questo: da un lato, l’essere il corpo, separatosi dall’anima, da sé solo, e dall’altro, l’essere l’anima, separatasi dal corpo, da sé sola? O dobbiamo ritenere che la morte sia qualcos’altro e non questo?”.
[…]
“E dunque non ti pare – disse – che la preoccupazione del filosofo non sia rivolta al corpo; ma che anzi, per quanto egli può, si ritragga da quello e si rivolga, invece, all’anima?”.
“Mi pare di sì”.
“E allora, non è evidente, innanzi tutto, che il filosofo, diversamente dagli altri uomini, per quanto riguarda questo genere di cose, cerca di liberare l’anima dal corpo, quanto più gli è possibile?”.
“É chiaro”.
“E la gente, poi, o Simmia, crede che, per colui che di tali cose non gode e non partecipa, non valga la pena di vivere, e che colui che non si cura dei piaceri che si hanno per mezzo del corpo, tenda, in certo senso, a star vicino alla morte?”.
“Verissimo quello che dici”.
(Platone, Fedone,  trad. di Giovanni Reale).

In questo passo del “Fedone” di Platone, il personaggio Socrate spiega il valore della morte a Simmia, un suo discepolo. Come si intuisce da questi brevi estratti del dialogo, la morte permette al filosofo di liberarsi dal corpo e di tutte quelle passioni ad esso collegate. Come per i pitagorici, anche per Socrate (e per Platone) il corpo è la prigione dell’anima e solo con la morte essa si libera. I sensi allontanano il pensatore della verità, dunque il filosofo si esercita con la filosofia a distaccarsi dalle effimere distrazioni corporali, raggiungendo uno stato spirituale che prepara l’uomo alla morte. Questa è la sostanziale differenza tra un filosofo e l’uomo comune. Socrate non afferma che la vita debba essere vissuta nell’ozio e nell’ignavia, bensì che essa debba essere vissuta con temperanza, avendo cura della propria anima e grazie a ciò conquistare con la morte l’eternità.

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