Nel Medioevo la morte veniva considerata come la chiave d’accesso alla vita eterna. In un periodo in cui la vita era di circa 45 anni e si moriva di colera, lebbra, peste, tifo, vaiolo e altre spiacevoli malattie, gli uomini accettavano la morte con rassegnazione. Nello stesso periodo fioriva la Scolastica, ovvero una corrente filosofica che tentava di conciliare la fede cristiana con il pensiero razionale. Tommaso d’Aquino, uno dei massimi esponenti della Scolastica, discute del tema della morte in occasione dell’argomentazione dell’immortalità dell’anima. Per il filosofo l’uomo è imprescindibilmente costituito da anima e corpo. L’anima razionale, creata da Dio e unitasi al corpo nel momento del concepimento, diviene un tutt’uno con la materia fino alla morte. La morte sancisce il momento in cui il corpo inizia a deperire, mentre l’anima, che è immateriale, invece, sussiste senza il corpo. La morte è quindi una caratteristica tipicamente fisica e non spirituale, eppure diviene fondamentale per l’uomo nell’attimo in cui deve accedere alla vita eterna. Tommaso si dedica all’analisi della morte anche teologicamente. Secondo la religione cristiana Cristo di fatto si sacrificò per espiare il peccato originale. Con Cristo, quindi, la morte è redentiva. Tommaso d’Acquino, parlando nell’ottica cristiana, ben capiva l’esigenza del popolo di sperare in una vita dopo la morte.
"La Signora del mondo", Oratorio dei Disciplini a Clusone. |
Nessun commento:
Posta un commento